Basta con la stigmatizzazione di chi soffre per disagi mentali

Nonostante l'entrata in vigore della legge n.180 del 1978, nota come legge Basaglia, abbia eliminato la segregazione manicomiale dei pazienti affetti da patologie di carattere mentale, nella nostra società continuano a sopravvivere retaggi che comunque continuano a determinarne de facto la loro emarginazione.

Infatti i pregiudizi storicamente affermatisi nei confronti dei pazienti psichiatrici  continuano a essere ubiquitariamente diffusi, anche in quanto alimentati nell'immaginario collettivo dal perpetrarsi di narrazioni che sistematicamente attingono a stereotipi, i quali, si sono fissati nella doxa in modo talmente radicale, che spesso sono utilizzati anche senza che ci si renda conto della loro valenza stigmatizzante.

Tale fenomeno va imputato alle "sentenze" emanate dalle comuni "chiacchiere da bar", e, non di rado, alla comunicazione a mezzo stampa e ai mass media in generale (che le alimentano), ma anche ai giudizi, più o meno impliciti, che si nascondono nei discorsi e nella terminologia utilizzata da persone dotate di buona cultura, perfino se appartenenti a settori della sanità che non siano direttamente interessati alla psichiatria e/o alla psicologia clinica.

In seguito a tali considerazioni, la cui evidenza, per quanti si pongano in osservazione da un punto di vista scientificamente corretto (ovvero oggettivo), è plateale, si può pertanto asserire la necessità di una "rivoluzione culturale", la cui funzione sia quella di scardinare i retaggi sociali che hanno prodotto i dogmi stigmatizzanti del paziente psichiatrico, a partire dalla diffusione di un lessico  semplice e comprensibile, quanto scientificamente compatibile con la descrizione di stati mentali anomali, ma che sia soprattutto scevro da possibili interpretazioni stigmatizzanti.

E si dovrà forse partire da quella stessa terminologia clinica di cui il pubblico non specialista si è appropriato generando equivoci e rimandi semantici arbitrari, che implicano la stigmatizzazione (o, quantomeno il giudizio della impossibilità di recupero di una condizione mentale e comportamentale normale), quale, per esempio, il termine "schizofrenia" e "schizofrenico", con tutte le sue fantasiose varianti "schizoide", "schizzato", et cetera. Infatti, proprio tale termine, gli specialisti stanno pensando di rivisitare, al fine di ridefinire la sindrome in modo da utilizzare una terminologia che non possa essere arbitrariamente e facilmente utilizzata in contesti inadatti.

Quindi, se si è utilizzato il termine "rivoluzione culturale", non è certo per andare in direzione diversa da quei principi fondamentali che stanno alla base della civiltà illuminista, ma, anzi, per ribadirli e affermare la necessità che essi siano perfettamente rispettati laddove la loro inosservanza, risulti lesiva della dignità umana, la cui salvaguardia deve comparire sempre al primo posto tra i valori civili inviolabili e inderogabili espressi nel testo degli articoli fondamentali della nostra Costituzione, e già individuati dal principio kantiano del "rispetto".

Ed è necessaria una "rivoluzione culturale", poiché, come si evince da quanto fin qui espresso, non si può certo, negli atteggiamenti di cui si è detto, sempre individuare una chiara e consapevole volontà di offendere, o ledere i diritti altrui, ma ciò non toglie che gli atteggiamenti prodotti da incuria o inconsapevolezza abbiano lo stesso effetto di quelli sostenuti dalla consapevolezza e dalla malafede.

Ed è appena il caso di ricordare che gli effetti della mancanza di rispetto provocano sofferenza in chi subisce l'ingiustizia dello stigma, e, in particolare se la vittima è il paziente psichiatrico, impossibilità, o, per lo meno grave procrastinazione delle possibilità di resilienza e guarigione. 

Momento fondativo di tale "rivoluzione culturale" potrà essere un evento congressuale di largo respiro e aperto al pubblico, al quale partecipino personalità di tutte le istituzioni professionali e civili interessate alla problematica qui delineata, quali rappresentanti della politica (da individuare tra le alte cariche dello stato), degli ordini professionali dei medici e dei giornalisti, della sanità pubblica, della scuola, dell'alta cultura e dell'arte.

A livello nazionale la figura che ha promosso e da anni si batte per la difesa del paziente mentalmente disabile è Antonio Lasalvia, professore di Psichiatria presso il Dipartimento di Neuroscienze, Biomedicina e Movimento della Facoltà di Medicina dell'Università di Verona, il quale ha da tempo redatto anche un documento orientato alla comunicazione del cittadino portatore di disabilità mentale, che ancora attende di essere recepito da Odg e Fnsi.

Ma nel momento in cui stiamo per pubblicare questo articolo ci raggiunge una velina foriera di un segnale di cambiamento importante:

“Con l’approvazione dell’atto di indirizzo per il contratto di servizio Rai passa un importante messaggio di attenzione nei confronti delle persone con disabilità da parte del Servizio pubblico. Il contratto assicura tra gli obiettivi strategici un rafforzamento degli obblighi di accessibilità e inclusività, promuove la diffusione di una cultura nazionale della disabilità, veicolando modelli positivi di inclusività anche attraverso la programmazione di contenuti a carattere scientifico e divulgativo, dedicando particolare attenzione al linguaggio affinché garantisca il rispetto della persona con disabilità.

Quello di oggi è un passo importante, in linea con i principi della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità. Da una parte riconosciamo a tutti il diritto a un servizio pubblico più accessibile, allo stesso tempo promuoviamo un racconto che rispecchia il cambiamento culturale in atto nel Paese, dove la persona con disabilità è parte integrante della società ed è valorizzata per il contributo che ad essa può dare”.

Così il ministro per le Disabilità, Erika Stefani, commentando l’approvazione in Cdm dell’atto di indirizzo per il contratto di servizio Rai.
Il Ministro Erika Stefani
Antonio Lasalvia, Università di Verona

Riccardo Panigada

Direttore responsabile:

Negli anni '80, mentre è ricercatore nel campo della bioingegneria, pone le basi per la teoria dell'Onfene (Manzotti-Tagliasco), e collabora a diverse testate tra cui «Il Sole 24 Ore», «Il Corriere Medico», «Brain», «Watt». È giornalista professionista, membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis), e la sua originalità è quella di filtrare la divulgazione scientifica attraverso la riflessione epistemologica. E' inoltre docente di Filosofia e Scienze Umane nei licei.

Ha pubblicato: Il percorso dei sensi e la storia dell’arte (Swan, 2012); Le neuroscienze all'origine delle scienze umane (Cleup, 2016).

Attualmente sta lavorando a un nuovo saggio in tema di Psicologia cognitiva alla luce delle neuroscienze.

Dirige anche Tempo e Arte (tempoearte.it).