Schizofrenico? termine assolutamente da dimenticare

E’ forse per colpa di quello “spartiacque” tuttora percepito dalla gente comune (ma anche da molti professionisti della salute tra i più tradizionalisti), il quale ancora di fatto divide le scienze sociali da quelle cliniche maggiormente oggettive, che, in occidente, si tende a considerare la psicologia clinica e la psichiatria come scienze “a margine” di quelle mediche tradizionali.

Eppure Sigmund Freud era un medico che ha iniziato la sua carriera come ricercatore genetista, ovvero dedito a quel campo di indagine che oggi è considerato fondamentale per capire l’origine e la predisposizione a contrarre molte malattie, e che determina molti fenomeni i quali caratterizzano il decorso patologico. Freud era pertanto ineluttabilmente un ricercatore scientifico, che, a un certo punto, ha però intuito quanto la psiche potesse condizionare l’integrità della salute; e ha quindi deciso di affrontare un’enorme sfida intellettuale: inquisire le dinamiche della mente. Campo di ricerca arduo, e, fino a quel momento, inesplorato, per riuscire a proporre soluzioni mediante metodi assolutamente inediti e innovativi.

Ma non basta: oggi, proprio la genetica, si è arricchita di una ulteriore specialità, chiamata epigenetica, che spiega come i geni possano esprimersi o meno a seconda di condizionamenti ambientali, emozioni, e stati alterati della mente; e non si fa che auspicare l’approccio interdisciplinare al sapere.

Dunque, pur essendo ormai dimostrato con evidenza e oggettività scientifica, che la psiche può anche essere causa determinante diretta di malattia, o condizionare pesantemente il decorso degli stati patologici dell’organismo, e, a parole, da ogni parte si sostiene la necessità di abbattere le barriere tra i diversi settori disciplinari, si sa… per abbattere retaggi ancestrali e ubiquitariamente diffusi non bastano nemmeno i decenni; e, talora, anche quando vi siano autorevoli scienziati e importanti scuole di pensiero che si battono per realizzare una rivoluzione culturale con ogni evidenza necessaria, bisogna attendere più di un cambio generazionale perché le cose veramente cambino.

Un ricercatore che oggi in Italia si impegna in prima linea su più fronti del complesso mondo della psichiatria per innescare nel settore i fattori scatenanti di una rivoluzione copernicana che porti a ormai indispensabili cambiamenti radicali è Antonio Lasalvia, professore associato presso il Dipartimento di Neuroscienze, Biomedicina e Movimento dell’Università di Verona. Suo è il saggio “Lo stigma dei disturbi mentali – Guida agli interventi basati sulle evidenze” appena uscito per i tipi di Giovanni Fioriti Editore, Roma.

Da quanto esposto in apertura di questo articolo è facile intuire che la stigmatizzazione rappresenti sia la conseguenza di una distorta interpretazione tanto delle patologie psichiatriche quanto della psichiatria, sia una causa di maggiore aggravio del paziente che soffre di disturbi mentali. Ma, da Galileo in poi, la scienza esige che anche le affermazioni di evidenza intuitiva vengano dimostrate con prove, esperienze, nonché ampie e condivise argomentazioni, perché le tesi siano accolte dalla comunità scientifica.

Lasalvia, nel suo breve ma molto intenso e documentato saggio (certamente prezioso per gli studenti di medicina e gli specializzandi in psichiatria, ma, anche, indispensabile strumento di aggiornamento, per operatori di settore, amministratori pubblici e giornalisti), sostiene una tesi quantomai condivisibile e culturalmente affermata a partire dalla nascita del pensiero scientifico avvenuta nel Bacino del Mediterraneo nel quinto secolo a.e.v.: la “parola” (per gli Antichi Greci il lògos) è immediatamente collegata a un concetto archetipale, e, pertanto, potente evocatrice di una determinata realtà, attraverso il rimando alla connotazione del significato specifico condiviso dal contesto socioculturale in cui si trova ogni individuo. Le parole dotate di significato, attraverso il loro valore sono pertanto psichicamente attive, tanto che possono catturare la mente in una dimensione rappresentativa che condiziona il pensiero e l’azione.

Così, se si dice “schizofrenico” (termine peraltro infelice poiché poco adatto perfino a definire la patologia alla quale rimanda), gli individui (incluse le persone che soffrono di disturbi mentali) appartenenti al gruppo sociale in cui il termine è impropriamente in uso, riceveranno solo la scorretta accezione di tale parola risultante dall’impiego sarcastico e dispregiativo attualmente utilizzato nella vita quotidiana in una pluralità quantomai variegata di contesti impropri.

Tale fenomeno prende il nome di “stigmatizzazione” e risulta tanto più pesante da sopportare, quanto più una persona è sensibile, arrivando a diventare evidentemente catastrofico per chi è fragile dal punto di vista psichico quanto chi soffre di disturbi mentali.

Così, proprio la comunità scientifica del comparto psichiatrico, anche in Italia, prendendo esempio da diverse proposte di stati del Far Est che hanno già portato all’adozione di una terminologia alternativa, sta pensando di cambiare nome alla “schizofrenia”, mediante locuzioni, che, al tempo stesso, siano in grado di descrivere meglio la sindrome mentale riferita, e che, non essendo aggettivabili, non diano adito alla possibilità di attribuire etichette fuorvianti, quasi sempre indelebili, le quali determinano invece grave emarginazione, autoemarginazione, aggravio e cronicizzazione della patologia e della sofferenza.

Antonio Lasalvia con Gemma Brandi, decana della psichiatria italiana, nel contesto di un recente convegno (foto Scienzaveneto)

Ma il saggio di Lasalvia, oltre a raccogliere una gran quantità di risultati di lavori di gruppi internazionali che si sono dedicati allo studio del fenomeno della stigmatizzazione dei disturbi mentali e delle relative conseguenze deleterie, contiene tesi originali e, soprattutto, proposte concrete per standardizzare la valutazione dell’impatto dello stigma, e indica possibili interventi per combattere i fenomeni che lo determinano in ogni ambiente, incluso (paradossalmente!) anche quello delle strutture orientate alla cura delle persone che soffrono di disturbi mentali (si veda la tabella 1).

Il saggio, sebbene a causa dei riferimenti ad altri lavori scientifici, in alcune pagine non sia di lettura scorrevole per chi non è specialista del settore, è tuttavia redatto con una prosa molto chiara e accessibile, e, data la rilevanza e l’attualità dell’argomento, unendoci a quanto affermato nella prefazione del medesimo dalla professoressa Mirella Ruggeri, ordinario di Psichiatria dell’Università di Verona, “l’onestà e il coraggio delle analisi e dei contenuti di questo volume lo rende unico e indispensabile, non solo per i professionisti di diversi settori, ma per la popolazione tutta…”.

Riccardo Panigada

Direttore responsabile:

Negli anni '80, mentre è ricercatore nel campo della bioingegneria, pone le basi per la teoria dell'Onfene (Manzotti-Tagliasco), e collabora a diverse testate tra cui «Il Sole 24 Ore», «Il Corriere Medico», «Brain», «Watt». È giornalista professionista, membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis), e la sua originalità è quella di filtrare la divulgazione scientifica attraverso la riflessione epistemologica. E' inoltre docente di Filosofia e Scienze Umane nei licei.

Ha pubblicato: Il percorso dei sensi e la storia dell’arte (Swan, 2012); Le neuroscienze all'origine delle scienze umane (Cleup, 2016).

Attualmente sta lavorando a un nuovo saggio in tema di Psicologia cognitiva alla luce delle neuroscienze.

Dirige anche Tempo e Arte (tempoearte.it).