Non è vero che sono solo destinati a diminuire: i neuroni “rinascono” a tutte le età

Ai tempi di Camillo Golgi e Ramòn y Cajal vi era ancora incertezza sull’ipotesi che le cellule nervose fossero o meno unite in una rete, ed è perfettamente comprensibile che la loro tanto marcata differenziazione rispetto alle cellule di qualsiasi altro tessuto, e la loro particolarissima distribuzione inducessero a pensare che dovessero essere insostituibili. Ma la stessa opinione resisteva ancora nel 1988 (quando si riponevano grandi speranze nella scoperta del Fattore di accrescimento dei nervi – Ngf, che nell’anno precedente portò al Nobel, Rita Levi Montalcini). Opinione che confermavamo tranquillamente su “Il Sole 24 Ore” in occasione di una intervista a Guglielmo Scarlato, allora direttore della Clinica neurologica dell’Ospedale Maggiore di Milano. In quel periodo, Scarlato, che era uno dei più stimati neurologi sul panorama internazionale, stava infatti lavorando a una sperimentazione, la quale avrebbe dovuto portare alla possibilità di impianti di cellule e Ngf nell’uomo. Infatti, ottimi risultati in tal senso erano già stati raggiunti in vitro presso il centro Dino Ferrari dell’Università degli studi di Milano di cui egli era stato cofondatore e che dirigeva. In tutto il mondo i fattori biochimici in grado di agganciarsi ai recettori di membrana dei neuroni, e intervenire sul loro metabolismo, nonché i trapianti di cellule, erano in quegli anni la grande speranza della ricerca e della sperimentazione neurologica: anche Stanley H.Appel a Houston (Usa) aveva infatti osservato un fattore trofico retrogrado rilevante per le cellule nervose, che appariva carente nella sclerosi laterale amiotrofica (Sla); senza contare che i trapianti di cellule della midollare del surrene (che mostravano particolare affinità in vitro per l’Ngf) in pazienti affetti dal morbo di Parkinson sembravano una vera promessa. (Cfr.: Con i nervi <<scoperti>>, Riccardo Panigada “Il Sole 24 Ore” n. 90, 12-04-88, p.9).

Basta invece seguire gli attuali risultati della ricerca per rendersi conto quanto, fino a pochissimo tempo fa, si stesse seguendo la strada più complessa e onerosa, per ottenere una tangibile remissione in casi neurologici gravi e cronici. Obbiettivo il cui raggiungimento oggi risulta ben più agevole, seguendo percorsi completamente differenti. “Infatti – rileva d’Avella – la plasticità del Sistema nervoso centrale (Snc) si rivela sempre più estesa nelle sue opportunità di relazione tra diverse aree nervose, e queste ultime appaiono sempre meno esclusive rispetto alle potenzialità funzionali alle quali originariamente si pensava fossero limitate. Si può inoltre indurre neurogenesi, e comprendere la funzionalità distinta dei singoli chip cerebrali, come le reti neurali funzionano tra loro (che siano in serie, o in parallelo), e tutto questo non sorprende più. Nel caso di un paziente affetto da depressione grave (che è la seconda malattia al mondo per impatto epidemiologico, disabilità, e costi sociali) che risponda positivamente ai farmaci antidepressivi, il suo ippocampo (una parte profonda del cervello che controlla anche il comportamento), in rapporto al trattamento terapeurtico cresce”…

In altre parole, grazie alla risonanza magnetica funzionale è stato possibile dimostrare che alcuni farmaci antidepressivi sono in grado di abbattere la sintomatologia dei pazienti depressi, anche in quanto sono in grado di indurre neurogenesi in quelle aree del Snc, la cui sofferenza e ipotrofia è responsabile della facies clinica (insieme dei sintomi patologici).

“E così, anche la stimolazione vagale – prosegue d’Avella – da noi per primi introdotta a Padova (e tra i primissimi in Italia), tecnica per cui la stimolazione elettrica antidromica del nervo vago, efficace nel controllo di quelle forme di epilessia, che in percentuale significativa risultano farmaco-resistenti, ha consentito di accorgerci (ed è stata pura serendipità), che i pazienti i quali rispondevano alla stimolazione vagale, cioè si riduceva in loro significativamente l’intensità, la gravità, e la frequenza delle crisi, stavano meglio anche di umore”.

È così sorta la prassi (approvata negli States dalla Food and Drug Administration, e ora anche in Italia) della stimolazione del ramo sinistro del nervo vago per trattare la depressione farmaco resistente. “Ma guardi che si tratta di uno stimolo aspecifico, mediante il quale induciamo la crescita delle cellule staminali che si trovano nel cervello: un segnale aspecifico, e inviato in maniera aspecifica, ora pensi quanto grossolano è tutto questo: intensità della corrente, frequenza degli impulsi, e sequenze temporali dei treni di stimolo dipendono solo da nostre scelte empiriche, ma otteniamo effetti comportamentali importanti, importanti e scientificamente dimostrati, ovvero effetti benefici misurati sui parametri neuropsicologici di pazienti affetti da depressione farmaco resistente. Ma se invece fossimo in grado di diventare selettivi? di identificare gli ideali parametri di neurostimolazione? Questa nostra esperienza portata al Congresso europeo di Marsiglia nel 2008/9, apre quindi a nuove ricerche che dovranno portare risultati ben più puntuali e scientificamente rilevanti, ed è per questo che ho detto che siamo solo agli albori della moderna neurologia” si giustifica d’Avella.

Non si può far altro che accettare tale giustificazione, anche se, per quanto riguarda la neurochirurgia, a Padova si ha l’impressione di essere ormai proiettati in una dimensione futuristica. Basti guardare le immagini degli interventi supportati da casco stereotassico dotato di viti utili a bloccare il cranio del paziente in modo solidale con lo spazio elettronico tridimensionale rappresentato in real time da riferimenti di precisione virtuale submillimetrica perfettamente coerenti al cervello reale in cui verrà inserito il microelettrodo. Il punto preciso in cui intervenire viene previamente fissato mediante Tac, le sue coordinate sono quindi trasportate sulle immagini della risonanza magnetica, e una sonda chirurgica robotica mininvasiva arriva poi, sotto la supervisione umana dello specialista, a posizionare il microelettrodo nelle profondità del cervello con una precisione impossibile per la mano dell’uomo; per quanto sapientemente controllata ed esperta possa essere.

Si tratta della tecnica per posizionare la Deep Brain Stimulation (Dbs), altra procedura mediante la quale oggi si attua il trattamento dei disturbi del movimento che colpiscono il cervello pediatrico (male distonico pediatrico), il morbo di Parkinson, e il complesso dei disturbi del movimento invalidanti come il tremore essenziale e le distonie.

A Venezia, durante la prima settimana di ottobre del prossimo anno, al congresso Eans “Controversie e soluzioni in neurochirurgia”, dove sono attesi 2000 delegati da tutta Europa, a riconoscimento del valore della neurochirurgia padovana, presidente dell’evento è stato nominato Domenico d’Avella.

Redazione

La redazione di Scienzaveneto.it