Terremoti: la normativa è tutta da rivedere seguendo un metodo assai diverso
Gli uomini hanno la memoria corta. Le generazioni ancora di più. È abbastanza comprensibile, se si considera che, psicologicamente, si ha l’impressione di vivere momenti storici sempre completamente diversi, anche rispetto a un passato non lontano, e che la grandezza temporale della durata di una generazione sulla faccia della terra è semplicemente trascurabile in confronto agli intervalli che intercorrono (con eccezione di alcuni luoghi e alcuni periodi) tra i fenomeni geologici. Associando a questi fattori psicologici il fatalismo latino, e la scarsa attenzione che troppo spesso molte istituzioni nostrane hanno per la scienza, e mettendoli a confronto con i ritmi metabolici delle viscere della terra, si vedrà che le “Cassandre” che tentano di portare all’attenzione il rischio terremoti, continuano, e (probabilmente) continueranno a non avere adeguato ascolto.
Infatti, così è successo di recente per quanto riguarda la pianura padana, luogo in cui le credenze popolari, con il sostegno di ben poco attendibile stampa generalista, contribuirono a diffondere il mito di una sorta di immunità del territorio per quanto riguarda i terremoti.
Alcuni scienziati hanno allora pensato che, almeno ex-post, quando le tragedie si sono consumate, come di recente nel nostro paese, anche con ricorrenza e dislocazione diverse rispetto a quelle che si ritenevano probabili, sia più difficile voltare le spalle nei confronti del problema, e hanno organizzato presso l’Istituto Veneto di Scienze lettere e arti, un simposio molto importante soprattutto per quanto riguarda le novità che un più moderno rapporto interdisciplinare tra le scienze interessate ha messo in luce in fatto di prevenzione.
(La videoregistrazione delle prime due sessioni dell’evento – in questo articolo includiamo la sessione conclusiva – sono disponibili al link http://www.istitutoveneto.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/1086).
Quando succede una catastrofe, infatti, per quanto riguarda l’ambito scientifico, l’unica cosa sensata da fare è quella di analizzare la validità delle misure di prevenzione che si sono dimostrate inefficaci. Per analisi talmente profonde serve procedere mediante la collaborazione interdisciplinare tra ricercatori esperti in scienze della terra, scienze fisiche, scienze delle costruzioni, e (vista l’alta densità di monumenti ed edifici storici sul suolo nazionale italiano), archeologi.
In realtà, almeno per quanto riguarda la tutela del patrimonio storico-archeologico nazionale, la promessa di un notevole passo avanti dal punto di vista amministrativo, è giunta con la recentissima creazione del Mibact, che ha riunito in un unico organismo di controllo la tutela del patrimonio artistico e archeologico nazionale, azzerando il possibile emergere di conflittualità tra le diverse sopraintendenze prima esistenti, quando, per esempio, ci si trovasse di fronte alla necessità di restaurare un edificio del quale si dovessero tutelare gli affreschi, non meno che restaurare le strutture architettoniche, non meno che preservare la stratigrafia archeologica sottostante.
La materia risulta comunque complessa, ma, a ben guardare, molto meno complicata di quanto non possa sembrare, sempre che si scelga di seguire il primo grande maestro, al quale tutti, scienziati, tecnologi, e politici devono sottostare: il buonsenso.
Oggi, parola d’ordine, è quella di raccogliere quanti più dati storici possibile sui fenomeni sismici del nostro paese, confrontarli con i fenomeni che si sono realizzati e continuano a realizzarsi in altre aree geografiche, trattare la prevenzione secondo una visione d’insieme globale e olistica (al contrario di quanto non si sia fatto finora a causa dell’eccessiva specializzazione e separazione delle discipline), e considerando di volta in volta la diversa rilevanza di fattori ambientali locali, al fine di aggiornare la legislazione vigente, che risulta insufficiente e inadeguata, quando non addirittura controproducente, in quanto (così è stato dimostrato) indica di attuare interventi di presunta prevenzione, che, per quanto riguarda il patrimonio storico archeologico, possono perfino aggravare il rischio di crollo di edifici in caso di fenomeni tellurici.