Ma come si fa a datare le rocce?

Per i geologi ancora oggi la domanda alla quale spesso è scientificamente più importante rispondere non è “quanto tempo fa”? ma: “contemporaneamente a cosa”? ovvero “in quale fase della storia geologica della Terra”?

Argille e dolomiti della Formazione di Travenanzes presso Cortina d’Ampezzo. Queste rocce hanno una età di circa 230 milioni di anni, e contengono le più antiche impronte dinosauriane delle Dolomiti, e quindi d’Italia
Argille e dolomiti della Formazione di Travenanzes presso Cortina d’Ampezzo. Queste rocce hanno una età di circa 230 milioni di anni, e contengono le più antiche impronte dinosauriane delle Dolomiti, e quindi d’Italia

Salvo restando che, il termine “contemporaneamente” (o “fase”) indicherà, bene che vada, periodi di tempo che loro considerano “sottili”, poiché talora contengono solo una “milionata” di anni… È naturale, quindi, che parlando di geologia, si debba quantomeno abbandonare la dimensione psicologica istintiva, che riconduce qualsiasi informazione giunga al cervello umano al confronto con il percorso esistenziale degli individui biologici. Per quanto… questi ultimi siano strettamente connessi alla “vita” della Terra, e alla sua interpretazione storiografica.

Strettamente connessi da sempre, tanto che di frequente sono proprio i loro fossili inclusi nelle rocce, che individuano stratificazioni corrispondenti a diversi periodi geologici, poiché la pressione evolutiva determina continuamente la speciazione, e molti altri fenomeni determinano altrettanto continuamente l’estinzione delle specie. Se è stato possibile a Charles Darwin interpretare il percorso evolutivo riconoscendo gli animali del lontano passato imprigionati nelle rocce, uno dei primi che capì l’importanza geologica della relazione esistente tra stratificazione delle rocce e successione temporale, notando dentro di esse le stesse tipologie di fossili univocamente associate sempre agli stessi strati, fu un ingegnere minerario inglese: William Smith (1769-1839), considerato oggi un padre della moderna geologia, per aver ideato e realizzato la prima carta geologica, ovviamente quella dell’Inghilterra.

E sono sempre state antiche tracce animali, che hanno poi permesso a Charles Lyell (1793-1875), visitando i Campi Flegrei, di scoprire il fenomeno del bradisismo, notando che sulle colonne del tempio di Serapide, a circa tre metri di altezza vi erano i tipici fori solitamente praticati negli scogli dal litofago (il dattero di mare): era evidente che in passato le colonne erano sprofondate lentamente nel mare, per poi riemergere, sempre lentamente, in modo da rimanere intatte. Per non dire di tempi più recenti, quando si è osservato che le spire dei fossili del Nautilus (la cui conchiglia cresce sintetizzando intorno al suo corpo un setto al mese, mentre una sua spira richiede probabilmente più di un anno) potevano rivelare che il movimento della Terra è stato rallentato dall’attrazione della luna: dalle bande di crescita per setto si è pensato di arguire la lunghezza dei mesi appartenenti al lontano passato, ma la prima prova geologica certa del rallentamento della rivoluzione terrestre si ebbe dalle bande di crescita dei coralli.

Insomma, si può dire che i resti lasciati dalle forme di vita terrestri, (oggi anche il loro Dna), siano forse la più importante memoria storica del nostro pianeta, a partire dalla comparsa della vita sulla Terra, come dire: la vita inquisendo se stessa, scopre la propria storia, e quella dell’ambiente in cui ha avuto origine, e che l’ha ospitata da tre miliardi e mezzo di anni…

Progressi della ricerca recenti, e rapidissimi, se si pensa che solo fino al secolo precedente si pensava ancora che i fossili fossero “ludi naturae”, credenza che solo Stenone (1638-1686, che si può forse considerare perfino antesignano rispetto a Smith, per quanto riguarda alcune intuizioni circa la stratigrafia), e, contemporaneamente, ma separatamente, Agostino Scilla (1629-1700), avevano provveduto ad abbattere.

Ma fu James Hutton (1726-1797) a promuovere una vera e propria rivoluzione culturale in geologia, gettando le basi per la teoria dell’attualismo (o uniformitarismo, secondo cui si afferma che i fenomeni ai quali oggi si assiste, possono essere presi a modello per interpretare in modo analogo fenomeni del passato); oltre a essere stato “l’uomo che scoprì il tempo in geologia”, sfatando il mito secondo il quale la terra avrebbe avuto solo i seimila anni documentati dalla Bibbia, e affermando che doveva avere almeno milioni di anni…

Nereo Preto è professore associato all’Università degli Studi di Padova. Ha svolto attività di ricerca presso la Johns Hopkins University di Baltimora, il MARUM Institute e lo ZMT di Brema, l’Università di Newcastle, Australia. E’ research fellow della Alexander von Humboltd Foundation.
Nereo Preto, professore associato all’Università degli Studi di Padova. Ha svolto attività di ricerca presso la Johns Hopkins University di Baltimora, il MARUM Institute e lo ZMT di Brema, l’Università di Newcastle, Australia. E’ research fellow della Alexander von Humboltd Foundation.

“Quello della datazione della terra fu uno tra i primissimi problemi della geoscienza, e la geologia è una scienza molto giovane, nata quando tutte le altre scienze già esistevano, ma oggi c’è la possibilità di studiare strutture che sono state custodite da lave molto antiche, e che testimoniano processi che non possono più avvenire” rileva Nereo Preto, docente di Geologia stratigrafica e sedimentologia presso l’Università di Padova.

Il primo concreto passo avanti è stato raggiunto quando ci si accorse che, considerando una parete di roccia come una successione di strati, i fossili in essi contenuti cambiano, mentre, a qualsiasi distanza da quel luogo, le corrispondenze restano. Ciò ha consentito di eleggere alcuni fossili associati a una stessa età, in termini di prima e dopo, a “fossili guida” per determinare identità cronostratigrafiche, cioè i pacchetti di tempo ai quali è stato dato un nome, essendo rappresentati da precisi e ben individuabili “pacchetti di rocce”, anche se quanto durino queste unità per secoli non si è saputo.

Ma se ancora oggi si guarda come i geologi rappresentano il tempo, ciò che è maggiormente evidente è una colonna verticale nella quale spiccano rettangoli di colori diversi, associati a nomi come paleozoico mesozoico cenozoico e quaternario, a loro volta divisi in pacchetti di tempo più piccoli.

“Quando sono di fronte a un’impronta fossile, la domanda che mi faccio ancora oggi è saranno impronte giurassiche, triassiche cretacee…, senza affatto chiedermi quanti anni hanno, cioè penso in termini di tempi geologici: i dinosauri, per esempio, compaiono a metà Triassico, e scompaiono alla fine del Cretacico, cioè occupano un intervallo di tempo molto ampio nella nostra suddivisione della storia della Terra, e non possono essere quindi considerati fossili-guida di riferimento precisi, in quanto coprono un periodo che va da 230 a 66 milioni di anni fa. Quello che posso fare è quindi cercare negli strati adiacenti, sopra o sotto quello delle impronte che ho scoperto, qualche fossile guida un po’ migliore. E il migliore di tutti in quell’intervallo di tempo sono le ammoniti, grazie alle quali si riesce a individuare una fettina di tempo abbastanza sottile, compresa tra i 100 mila e il milione di anni circa. Ma i dinosauri non vivevano in mare aperto come le ammoniti, e, quindi, a parte casi molto fortunati, non le troveremo vicine.

Il momento che segna la comparsa di impronte di dinosauri nelle Dolomiti corrisponde ad un marcato evento climatico globale che è registrato nella successione stratigrafica dolomitica da una marcata cengia. Qui, nel Gruppo del Sella, è data dalla Formazioni di Heiligkreuz e Travenanzes (HKS), poste tra la Dolomia Cassiana (DCS) e la Dolomia Principale (DPR)

Bisogna allora cercare pollini fossili, che si possono evidenziare in laboratorio trattando materiale raccolto sul posto: si toglie argilla e carbonati con diversi trattamenti chimici, (i pollini e altra materia organica resistono agli acidi così come gli zirconi, perché la parete dei pollini ha alcuni composti organici che sono altamente resistenti agli acidi). I pollini si succedono nel tempo geologico in periodi di tempo precisi e sottili, per esempio ci sono pollini specifici per il Tuvalico, che rappresenta un sottopiano del Carnico, a sua volta piano della Serie Triassico superiore, appartenente al Sistema Triassico, il quale è compreso nell’Eratema Mesozoico. Il rettangolo più piccolo dello schema è rappresentato quindi dalla biozona: in geologia è impossibile determinare intervalli di tempo più sottili di così.

Per esempio il Tuvalico, inizia a partire dalla comparsa del Tropites dilleri, e si estende fino alla prima comparsa di un altro ammonite che segna invece l’inizio del Norico. I pollini, per fortuna, essendo trasportati dal vento, a differenza delle ammoniti sono praticamente ubiquitari, per cui sarà sufficiente recarsi in un posto di mare, per poterli individuare associati alle ammoniti, per poi costruire uno schema di pollini-guida, al fine di correlare tra loro le diverse scale fossili con quella dei nomi ufficiali della stratigrafia”, spiega il professor Preto.

Riccardo Panigada

Direttore responsabile:

Negli anni '80, mentre è ricercatore nel campo della bioingegneria, pone le basi per la teoria dell'Onfene (Manzotti-Tagliasco), e collabora a diverse testate tra cui «Il Sole 24 Ore», «Il Corriere Medico», «Brain», «Watt». È giornalista professionista, membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis), e la sua originalità è quella di filtrare la divulgazione scientifica attraverso la riflessione epistemologica. E' inoltre docente di Filosofia e Scienze Umane nei licei.

Ha pubblicato: Il percorso dei sensi e la storia dell’arte (Swan, 2012); Le neuroscienze all'origine delle scienze umane (Cleup, 2016).

Attualmente sta lavorando a un nuovo saggio in tema di Psicologia cognitiva alla luce delle neuroscienze.

Dirige anche Tempo e Arte (tempoearte.it).