Dolomiti Bellunesi: una vasta area di interesse paleontologico

“Ma certo che lo conoscevo, Vittorino Cazzetta era un caro amico” confida a Scienzaveneto Dario Dall’Olio, mentre dalla sua espressione traspare contemporaneamente stima e rammarico. Dario, tra le sue Dolomiti Bellunesi, è figura di spicco e riferimento per la cultura interdisciplinare locale. Cazzetta doveva essere per certi aspetti un po’ come lui, perfettamente autentico e innamorato della natura e della storia delle sue montagne, a partire dalla loro orogenesi.

Vittorino faceva un lavoro semplice, che gli consentiva di vivere, ma viveva per esplorare, e lo fece raggiungendo, grazie alla sua grande sensibilità ed esperienza, grandi risultati: a lui si deve la scoperta della sepoltura dell’Uomo di Mondeval de Sora, che ha portato alla costruzione a Selva di Cadore del museo che porta il suo nome, e fu sempre lui ad accorgersi che su alcune pareti rocciose erano ancora impresse le orme dei dinosauri, prima della sua tragica scomparsa avvenuta probabilmente durante una sua missione, come sempre in solitaria, dalla quale non fece mai ritorno.

Ma se Vittorino era una figura romantica e solitaria, asciutto e di poche parole, Dario è invece esuberante, ed essendo dotato di ottima cultura, insieme all’altro ingrediente che è il suo profondo amore per le Dolomiti e la preistoria, è artista, comunica con le sue opere, scrivendo, inventandosi continuamente iniziative, e divulgando in ogni forma che gli sia possibile, è stato inoltre sostenitore della creazione del “Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi”, oggi Patrimonio dell’Umanità sotto la tutela dell’Unesco. Anche lui ha un certo primato: fu un caso fortuito ma fortunato, come ci rivelerà lui stesso, ma fu il primo a intravvedere due ossa umane in una buca, e a riconoscerle quali resti di una sepoltura preistorica, appena prima che venisse chiusa un’area di scavo per la pausa invernale, anticipando di un soffio i ricercatori, i quali gli avevano consentito di unirsi a loro per un momento.

È a Dario Dall’Olio che abbiamo quindi chiesto di introdurci a una conoscenza del suo affascinante territorio, che superasse l’immediata esperienza estetica, o la fruibilità sportiva delle montagne, così belle, che, nella maggior parte dei casi impediscono ai turisti di accorgersi di molti altri aspetti eccezionali.

Il Massiccio del Grappa visto dal Monte Avena
Il Massiccio del Grappa visto dal Monte Avena

“In Trentino – osserva Dario – sono stati scoperti un centinaio di siti mesolitici di alta quota, quando da noi non sembrava che ce ne fossero, ma semplicemente perché nessuno si era mai preoccupato di fare ricerche. Mentre Cazzetta, che aveva trovato e riconosciuto alcuni manufatti litici, e resti di pasto preistorico nel terriccio che una marmotta aveva accumulato davanti alla sua tana, coinvolse il professor Guerreschi, dell’Università di Ferrara, allievo professor Broglio, autore delle ricerche in Trentino. Iniziò così una campagna di scavo importante, per documentare la stratigrafia del sito. Sono stato personalmente testimone dell’entusiasmo iniziale dei ricercatori, ma avevo programmato una vacanza di due settimane in Costa Azzurra… quindi torno su nel mio “mare tropicale” a quota 2000 metri quindici giorni dopo, con gli occhi ancora pieni degli splendidi Balzi Rossi di Ventimiglia; era il tardo pomeriggio di una giornata molto fredda, con pioggia gelida come la neve. Vicino al sito che oggi è il Riparo Guerreschi, lo incontro: mi saluta sbrigativamente con un “niente niente”, e se ne va verso la baita di corsa come un uomo preistorico. Sta per arrivare su, è a metà costa, “niente niente”, ma ci dobbiamo riparare dalla pioggia e la scusa è buona per guardare dentro a un cubo 40×40 aperto il giorno prima. In fondo al buco 2 ossa, tibia e perone, mi volto e chiedo alle ricercatrici se si potesse trattare di una sepoltura. “E ci ha detto che non ha trovato niente”! Lo esclamarono tanto ad alta voce che Guerreschi, distinse la voce nel silenzio della montagna, e tornò di corsa: stavano chiudendo lo scavo per riaprirlo l’anno successivo… San Vito di Cadore ancora oggi è l’unico luogo mesolitico delle Alpi in cui sia stata individuata una sepoltura di alta quota. In essa si sono rinvenuti ben conservati i resti osteologici e tutto il corredo funerario”. È la sepoltura di un cacciatore, oggi noto come “Uomo di Mondeval”, che vagava tra quelle montagne ottanta secoli fa.

“Ma l’area di interesse paleontologico inizia molto più a sud, a ridosso di Feltre – prosegue Dall’Olio – per esempio sul magnifico altopiano del monte Avena, che si trova all’interno di un territorio alpino molto particolare, in quanto guarda a sud al monte Tomatico, che delimita la parte settentrionale del Massiccio del Grappa, e dal quale si comincia, a intravvedere anche la pianura Padana, in direzione di Venezia, mentre alle spalle si stagliano nel cielo i miracoli delle vette feltrine.

Sepoltura di un cacciatore della fine del Paleolitico superiore – Val Cismon – Ripari Villabruna (BL) – 12.000 anni fa ca. (foto Museo civico di Belluno)

Circoli glaciali che custodiscono i grandi misteri di questi territori, che erano frequentati anche in età preistorica. E sono sempre stati appassionati della zona molto preparati, che, sull’Avena, hanno cominciato a indagare frammenti di selce più o meno lavorate, che emergevano in mezzo ai pascoli, portati in superficie dall’attività delle talpe, da 10-20 centimetri di profondità: il paleosuolo è conservato mirabilmente sull’Avena poiché, a 20-40 centimetri di profondità, dove in genere le mucche sprofondano, la roccia è in verticale, e da essa i nostri antenati 40.000 anni fa estraevano meravigliosi arnioni di selce omogenea… a martellate dal biancone, o avvalendosi dell’effetto provocato dalla solidificazione dell’acqua, che veniva inserita nelle venature della roccia. Di notte il gelo spaccava la pietra, e al mattino si trovano gli arnioni pronti, da liberare dal calcare, per essere poi trattati in fasi di lavorazione sempre più specializzate, come testimoniano i reperti a pochi metri di distanza. Ci si avvaleva di una mazza di osso per far vibrare gli arnioni e aprirli secondo le loro venature naturali. Alcuni frammenti sono stati oggi ricomposti, e si è riusciti a ricostruire l’arnione intero e completo esposto al museo di Belluno. La selce era indispensabile alla sopravvivenza degli uomini preistorici, basti pensare alle loro fiocine da pesca, ottenute con puntine di selce oblique conficcate e fissate sulla punta di rami sottili e resistenti con delle resine” (si veda su questo numero il servizio sulla riapertura dello scavo del Monte Avena).

Per non parlare di Aldo Villabruna, che passando nella valle del Cismon, all’altezza torrente Rosna, in un periodo in cui si stavano svolgendo lavori stradali, scorge in un conoide di detriti addossati a una parete, che stava per venire rimosso dalle macchine di movimentazione terra, reperti molto interessanti. Villabruna raccoglie e porta subito i suoi tesori a Carlo Mondini che oggi, ricordando l’episodio, scrive sul sito del Gruppo Archeologico Agordino: “L’attenta disamina della sezione di scavo risparmiata dalla distruzione dei mezzi meccanici, mise in evidenza ai nostri occhi, la presenza di due sezioni circolari collocate sullo stesso piano a pochi centimetri una dall’altra, che interpretammo come le sezioni femorali di uno scheletro, da mettere in relazione alla mutilazione compiuta dalle pale di una ruspa, sugli arti inferiori dell’inumato. Un’intuizione piuttosto azzardata per due semplici appassionati e cultori di archeologia preistorica che si rivelò poi, al di là di un certo scetticismo da parte dei competenti organi scientifici, estremamente azzeccata”.

“È stata una scoperta di notevole importanza, perché fino ad allora si pensava che si trattasse di una valle, che, in epoca epigravettiana dovesse presentarsi terrifica e profonda, una trasversale poco fertile, quini inaffrontata dai popoli antichi… era invece già per quegli uomini una importante via di comunicazione, che portava verso l’altopiano Lamon, da lì al Broccon, e poi alla val dei Moccheni, che, nel periodo del rame e del bronzo era importante, in quanto ricca di tali risorse.

Dario Dall’Olio con una sua opera (foto Dolomitiarte.it)

Va considerato infatti, che si tratta di una valle in quota ma orientata sull’asse est-ovest, e che quindi gode di condizioni climatiche molto buone, era forse perfino più vivibile della parallela Valsugana… L’Uomo del Villabruna in Valrosna (di cultura Epigravettiana) è stato rinvenuto in una sepoltura integra, calcarizzata, datata dal professor Broglio dell’Università di Ferrara, e si è inoltre rivelata estremamente interessante, anche per aver consentito la retrodatatazione (di ben settemila anni rispetto ai precedenti reperti preistorici rinvenuti) la pratica delle cure dentali della carie eseguite con punta di selce. Questo per noi è un anno importante, perché il comune di Sopramonte ha ottenuto il finanziamento europeo per la costruzione del museo finalizzato ad accogliere la sepoltura dell’Uomo del Villabruna, e contestualmente riaprire gli scavi del Monte Avena sotto la direzione del professor Marco Peresani dell’Università di Ferrara” rileva Dario Dall’Olio.

Redazione

La redazione di Scienzaveneto.it