Egisto Lancerotto: in omaggio alle colleghe artiste

A Egisto Lancerotto, va riconosciuto il merito di aver sdoganato le colleghe artiste, documentando e istituzionalizzando al tempo stesso con le sue opere, il loro ingresso in scuole d’arte e in accademie dove potessero imparare un mestiere spendibile in una società completamente trasformata dalla recente Rivoluzione industriale. Le tele dedicate al tema della pittura femminile testimoniano, infatti, come all’epoca, fosse in atto un cambiamento significativo nel rapporto delle donne con l’arte.

Arte come mestiere. La scena che presenta la Scuola di pittura 1 è, senza ombra di dubbio, un ambiente di formazione. <<Vi sono dipinte da quindici a venti signorine tutte davanti al cavalletto a copiare un bel tipo di chioggiotto che sta nel mezzo di una stramberia bene riuscita che deve piacere>> [1]. Grazie alle ampie finestre sulla destra, i raggi del sole penetrano senza abbagliare. A giudicare dall’abbigliamento delle allieve, potrebbe essere una giornata di primavera. Sono tutte di spalle e di tre quarti, tranne quella sulla destra, in primo piano, che sembra abbia voltato il suo cavalletto a beneficio dello spettatore. Ai suoi piedi, l’immancabile cane. I numerosi cavalletti, disposti con ricercata casualità e la presenza di materiale per la pittura comunicano che si è al di là del puro dilettantismo.

La Modernità ha, infatti, rappresentato per le donne un’opportunità vitale di cambiamento. <<L’alfabetizzazione crescente, l’accesso a esperienze formative d’arte, la redistribuzione dei patrimoni, anche per lo sviluppo industriale, delineavano i tratti di una “donna nuova” che si faceva strada nel secolo, talvolta senza marito e non proveniente da ceti sociali elevati>>. [2] Aumentavano di numero col passare del tempo [3] e, finalmente, alcune diventavano famose anche all’estero. E’ il caso della francese Rosa Bonheur, insignita della Legione d’Onore nel 1865.

Scuola di pittura 1
Scuola di pittura 1

Risale al 1843 l’inaugurazione della londinese Female School of Art and Design, mentre nelle varie Accademie d’Europa, sempre più donne premevano per entrare [4] a farne parte.
Grazie alla tradizione dei mestieri d’arte, in Italia, l’accesso è consentito già nei primi anni del Secolo, e, particolare di merito, alle pittrici italiane era anche concesso di partecipare alle classi di nudo, anche se l’ufficializzazione dell’autorizzazione si avrà solo nel 1873 (anno in cui, il re Vittorio Emanuele approverà un nuovo Statuto che ammetteva le donne tra gli accademici di merito) [5], insieme a una circolare che consentiva loro di accedere alle scuole superiori e di insegnare arte e disegno [6].

Quando Lancerotto iniziò a frequentare le aule dell’Accademia, i corsi, soprattutto quelli riguardanti il Paesaggio, cominciavano ad attirare giovani pittrici.
<<La scuola di Paesaggio è frequentata, oltre che dagli Alunni, da forestieri e da colte donne che desiderano questa pratica artistica per divenire più compiute maestre>> [7].

Le colleghe di Lancerotto, tuttavia, che seguivano con lui il primo anno all’Accademia, non sembravano volersi accontentare di riprodurre solo paesaggi. Antonietta Brandeis, per esempio, nell’agosto del 1868, si assicurò il secondo premio per una disciplina importante come “Elementi della figura”. Nello stesso anno, Antonietta vinse anche un altro riconoscimento per “la copia da disegni o schizzi all’acquarello di colore”. Alla chiusura del secondo corso, l’anno successivo, il successo nella sezione “Paesaggio” per “Saggi di colore” se l’aggiudicarono Maria Viviani, l’inglese Carolina Higgins e la veneziana Stella Chiara, mentre Antonietta Brandeis veniva premiata per la “Copia dal busto” a pari merito con Luigi Nono, il quale, l’anno prima, aveva vinto il primo premio.

A Lancerotto, invece, veniva assegnato il terzo premio, come nell’anno precedente. Le donne erano risultate migliori anche negli esami di Storia dell’arte: la Brandeis aveva superato la prova “in modo lodevolissimo”. Le donne artiste tennero il campo anche nel ’70: la Brandeis faceva incetta di premi sia per “Studi dal vero in colore a olio”, per “Disegno anatomico”, per la “Classe delle pieghe” e per la “Statuaria”.

Scuola di pittura 2
Scuola di pittura 2

Nel 1875, su 270 iscritti all’Accademia, 17 erano donne che avevano approfittato della <<recente legge, per la quale possono esse pure venire educate nella nostra Accademia nell’Arte>>. Di queste, una era Fanny Carlini, diplomata nel 1878 e insignita della medaglia d’argento sei anni dopo con un’esposizione al Crystal palace di Londra; un’altra era l’olandese Everdina Douwes Dekher, che affiancò con un ricchissimo apparato di disegni gli studi sui fossili del marito, il naturalista vicentino Francesco Bassani. Nei riconoscimenti, alle pittrici, si affiancarono quindi le illustratrici, le ceramiste, le disegnatrici e le fotografe.

Nel realizzare la trilogia de La scuola di pittura, Lancerotto aveva fatto tesoro delle sue esperienze vissute, e, se nel primo e nel secondo quadro – rimanendo fedele al dato naturale -, aveva fornito una lodevole testimonianza dell’irruzione del femminile nel mondo dell’arte e del suo apprezzato ruolo di insegnante (Scuola di pittura 2) [8]; nel terzo, di vent’anni successivo (immagine di apertura di questo articolo), Lancerotto, seguendo i cambiamenti dei linguaggi e dalle tecniche artistiche, si allontana dalla “poetica del vero”, ormai percepita “di maniera”, e sposa la sperimentazione che ha valicato le frontiere del nuovo secolo, sfocando le figure in immagini evanescenti, le quali sollecitano nell’osservatore l’elaborazione mnestica immersa nella sensazione del tempo  trascorso e inesrorabilmente transeunte. Fa eccezione, in primo piano sulla destra della tela, la camicetta rosso orientale e il profilo dell’allieva incorniciato da un naturalissimo chignon. Ma, in questo particolare, il Nostro ha seguito l’effetto fotografico, che, mettendo a fuoco una figura, lascia sfumare le altre sullo sfondo, molto probabilmente per rendere omaggio all’allieva prediletta…

Note

[1] – Da un’illustrazione popolare artistica…, 1887.
[2] – Maria Antonietta Trasforini, Nel segno delle artiste. Donne, professioni d’arte e modernità, Bo, 2007, p.52-53.
[3] – La componente femminile nel mondo dell’arte è sicuramente antica, ma fino al XVI secolo, le donne artiste, socialmente affermate, furono rare.
Abbiamo testimonianza dell’esistenza di alcune pittrici greche, Timarete, Kalypso, Aristarete, Iaia e Olympas da Plinio il vecchio, che le aveva citate nella Naturalis Historia e da Boccaccio, nel De claris mulieribus a testimonianza che l’arte non è una questione di genere.
Va detto che nel Medioevo, gli artisti, sia uomini che donne, raramente erano nominati personalmente. Per lo più erano degli “artigiani” che raramente firmavano le loro opere. Gli ambiti in cui le donne – in prevalenza monache o aristocratiche – venivano nominate erano quello delle corporazioni miniaturistiche, dell’illustratrazione di libri o del ricamo.
Il quadro cambia nel Rinascimento, quando le donne artiste veramente grandi, quelle considerate a tutti gli effetti vere professioniste dell’arte, si sono sottratte lentamente e inarrestabilmente all’invisibilità, ottenendo un riconoscimento sociale che le ha accompagnate fino alla contemporaneità.
Pochi sanno, in un contesto di grandi geni artistici dai nomi altisonanti, come Da Vinci, Leonardo, Michelangelo, Raffaello, Caravaggio, Tintoretto per nominarne solo alcuni tra i più grandi, che La partita a scacchi e l’Autoritatto al cavalletto di Sofonisba Anguissola sono considerati oggi due opere da annoverare fra i capolavori del Cinquecento. Grazie al padre artista, che iniziò tutti e sette i figli all’arte della pittura, Sofonisba dimostrò di essere la più talentuosa. Ne Il gioco degli scacchi, al tempo riservato solo agli uomini, l’artista, con intento provocatorio, fa giocare tre sorelle, elegantemente impegnate e sorvegliate da una domestica sullo sfondo e, ritraendo se stessa al cavalletto, pare voler ribadire il suo diritto a scegliere la pittura come professione. Anche Artemisia Gentileschi era figlia d’arte. Vissuta durante la prima metà del XVII secolo, riprese dal padre pittore il limpido rigore disegnativo, innestandovi una forte accentuazione drammatica (“ripresa da Caravaggio”), caricata di un’inedita esasperazione (“Giaele e Sisara”) resa con delle tonalità cupe e tenebrose che solo l’involontaria rievocazione di un’esperienza traumatica di violenza carnale – come quella da lei subita a diciott’anni – può rendere. Casi rari.
[4] – <<Nell’Ottocento – sostiene Casavecchia – il lavoro d’arte cominciò a divenire per molte e di diverse classi sociali una passione da trasformare in lavoro e strada per il cambiamento della propria vita ed emancipazione>> (in: Senza nome. La difficile ascesa della donna artista, Mi, 2002).
[5] – Prima nell’Accademia di Firenze, poi in tutte le altre.
[6] – Antonello Negri, a cura di, Arte e artisti della modernità, Mi, 2002.
[7] – Antonio Dall’Acqua Giusti, L’Accademia di Venezia. Relazione storica per l’esposizione di Vienna del 1873, Atti della Reale Accademia di Belle Arti in Venezia, Ve, 1873, p.70.
Alcune tra le pittrici di paesaggio, come Anna Matteini e Leopoldina Zanetti, che non avevano seguito un percorso formativo istituzionale, avevano comunque aperto degli studi in città.
[8] – In questo dipinto dalle dimensioni notevolmente inferiori agli altri due, Lancerotto si ritrae all’interno del proprio atelier, che fungeva allo stesso tempo da studio, abitazione e aula didattica. L’asta centrale del cavalletto divide in due parti simmetriche la scena ritratta. Nell’area a sinistra, l’artista, con barba e capelli bruni, si ritrae mentre ritocca l’opera di un allievo; nella destra, in posizione centrale a testimoniare che il vero protagonista sia l’atto creativo femminile, un’allieva intenta a dipingere. Anche gli oggetti d’arredo non hanno una funzione marginale: si evidenziano il tendaggio sullo sfondo, che mancando del drappeggio, fa pensare che il quadro fosse un abbozzo, mentre su una cassapanca, è collocato un dipinto con cornice dorata a cui è appoggiato un puttino in gesso dorato di gusto classicheggiante.

Rossella Delaidini