IL ROBOT CONSUMA TROPPO, E BOCCIA LE VECCHIE TEORIE SULLA FISIOLOGIA DEL CERVELLO

All’inizio poteva sembrare più “facile” di quanto realmente non fosse. “Facile” per quanto potesse esser facile il compito, nel momento in cui si sperava di riprodurre il funzionamento di circuiti nervosi che si formano in una rete costituita da un centinaio di miliardi di neuroni, ognuno dei quali è direttamente, o indirettamente interconnesso con decine di migliaia di altre unità… ma si poteva comunque iniziare a provarci, secondo la buona logica della cibernetica, per la quale a un input corrisponde direttamente un output.

Trattografia (DTI) del tratto cortico spinale
Trattografia (DTI) del tratto cortico spinale

Certo, si sapeva che la logica booleana non sarebbe stata sufficiente, per costruire i primi robot capaci di “ragionare in parallelo”, cioè bisognava dotarli di hardware e software specifici per la cosiddetta Intelligenza artificiale, che (almeno si pensava), avrebbe reso possibile prima o poi perfezionarli fino al punto di arrivare un giorno a riprodurre i comportamenti tipici dei cervelli naturali. Infatti si sapeva che le colonne corticali (la corteccia è la regione encefalica dedicata a raccogliere ed elaborare le informazioni sensoriali) sono formate da moduli verticali paralleli, ciascuno dotato di una propria specificità, tutti interconnessi in orizzontale, al fine di operare quel continuo confronto chiamato “plasticità cerebrale” (capacità di ragionare per analogie, capire metafore, trovare soluzioni anche in situazioni nuove e complesse). Compiti per i quali logica booleana e circuiti a relè risultano insufficienti. Fiorirono quindi sperimentazioni basate su prototipi di sistemi logici “informali”, e di hardware specificamente finalizzati. Ma, a un certo punto, il confronto col cervello umano ha dimostrato che, si era sulla strada sbagliata, fatto che è risultato utile anche di riflesso, per aver indotto i neurofisiologi a rivedere le ipotesi di funzionamento del pensiero.

“Lo si è capito – spiega Maurizio Corbetta – quando si è visto che, al confronto con i dati emergenti dallo studio del metabolismo encefalico, un robot basato su cervello elettronico, che seguiva gli algoritmi della neurofisiologia classica, applicato a svolgere compiti complessi consumava troppa energia rispetto al cervello naturale, e richiedeva una potenza computazionale molto maggiore rispetto al cervello umano. I cervelli naturali sono dotati di molto potere computazionale, ma soprattutto si basano su sistemi certamente molto più sofisticati di quanto finora si potesse pensare. Per fare un esempio, il cervello non deve selezionare, di volta in volta partendo da zero, come invece devono fare i robot, dopo aver raccolto nuovamente tutti i dati dall’ambiente, l’azione giusta fra tutti i movimenti possibili prima di eseguirla. Cioè anche implementando sofisticati algoritmi di Intelligenza artificiale in computer dotati di elevatissima potenza di calcolo, non si ottiene né la velocità cinestesica di adattamento all’ambiente, né l’efficienza energetica del cervello naturale, a parità di compiti da svolgere: è quindi evidente che il cervello dispone di sistemi di elaborazione di tipo differente e ancora più raffinati, che lo rendono anche energeticamente più efficiente dei suoi “concorrenti” artificiali”.

Insomma, serviva un’idea nuova circa la modalità di funzionamento del cervello.

“Un’idea nuova – prosegue Corbetta – è che il cervello naturale sia dotato di una propria attività intrinseca, conseguente all’esperienza pregressa in base alla quale si plasma. Cioè, passando da un contesto a un altro (a meno che quello da affrontare non sia assolutamente nuovo), abbiamo sempre delle aspettative di massima, e, appena cambiato scenario, il cervello rileva solamente l’”errore di segnale” che emerge tra un atteso generico modello ambientale, e i dati in ingresso, come dimostra l’attività elettrica cerebrale: il cervello dimostra di reagire solo alle novità, mentre resta inerte rispetto a quanto già conosce” (può essere a questo proposito interessante ricordare che secondo la teoria dell’entropia di Shannon-Von Neumann i dati che descrivono eventi completamente attesi, ovvero non caratterizzati da alcun valore di incertezza, portano con sé una quantità di informazione uguale a zero, al contrario eventi completamente nuovi comportano la quantità informazionale massima teorica – n.d.r.).

Questa nuova “idea pazza da testare”, come la definisce subito Maurizio Corbetta, potrebbe spiegare anche perché stimoli nuovi, derivanti da scenari mai visti prima, si rivelino emozionalmente più carichi, poiché attivano più intensamente un numero maggiore di aree cerebrali, producendo, a seconda dei casi, alti livelli di stress, interesse, o piacere…

Maurizio Corbetta
Maurizio Corbetta

Contrariamente a quanto si pensi, poiché non se ne ha coscienza, dal punto di vista metabolico, il maggior impegno energetico del cervello, è dovuto al mantenimento dell’attività spontanea: il comportamento usa solo il 5-10% dell’attività metabolica cerebrale, mentre l’attività spontanea di default ben l’85%! Insomma, mantenere una rappresentazione del mondo costa molto: le connessioni costano in termini computazionali: non si sa cosa… ma il cervello a riposo sta computando.

“Quest’attività metabolica viene cambiata dall’ambiente, le connessioni sono modificate dall’apprendimento, e resteranno presenti nel cervello a riposo, la cui attività intrinseca alimenta costantemente i nuovi circuiti da conservare; così come a tre mesi di vita i neuroni “imparano” a sparare in maniera binoculare, rendendo i neonati in grado di distinguere la tridimensionalità spaziale per il resto della loro esistenza, mentre, e come nella corteccia prefrontale (il luogo delle decisioni cognitive alte, deputato alla decision making, e alla capacità di inibire impulsi mediante il controllo cosciente), la completa mielinizzazione, che stabilizza le connessioni avviene verso i 20-25 anni consentendo da quel momento comportamenti più calibrati – precisa Corbetta (la mielina è la guaina che ricopre i neuroni deputati alla trasmissione di segnale n.d.r)-: il comportamento è come un imbuto in cui convergono molti dati, anche genetici ed epigenetici. Oggi anche la psichiatria sta rifocalizzando la propria attenzione, preferendo, per quanto possibile, la diagnosi biologica a quella comportamentale. Se vogliamo parlare di “neuroni specchio, per esempio, Rizzolatti ha per ora proposto un framework, ma bisognerebbe poi formulare un’ipotesi specifica, che sia possibile verificare, al fine di capire come l’elaborazione viene effettivamente analizzata dal cervello. È vero infatti che nel cervello c’è un meccanismo che, in qualche modo, capisce l’informazione sensoriale mappandola su meccanismi motori, ma il problema è se il sistema specchio riveli una risonanza effettiva del sistema motorio rispetto a condizioni sensoriali, oppure, se, per esempio, rifletta semplicemente una preparazione motoria. In sostanza, per andare avanti bisogna affrontare un problema di paradigma, Rizzolatti lo sa bene, avendo provato a creare interferenze ad hoc in sede sperimentale. Ad esempio si potrebbe tentare di interferire con i neuroni specchio in corteccia premotoria e vedere se l’osservatore (scimmia o uomo) non comprende piu’ le intenzioni di chi gli sta di fronte. Esperimenti in questa direzione sono stati fatti a Roma da Salvatore Aglioti e il suo team alla Sapienza”.

Non possiamo infine rinunciare a chiedere un’ opinione circa la natura del pensiero teoretico al professor Corbetta, che, naturalmente, non ha esitazioni a rispondere: “tutto è basato su sistemi percettivi motori fondamentali; cosi’ come non abbiamo un’anima in senso astratto, così non abbiamo un pensiero astratto nel senso di avulso dalla realtà: il pensiero è sempre ancorato agli oggetti, i numeri, per esempio, sono ancorati alle dita, e (come ha dimostrato la ricerca sulle aree somestesiche di Ilaria Berteletti), chi conta velocemente con le dita fa anche buona matematica; per cui è chiaro che l’embodied cognition è fondamentale. Senza contare che anche i pensieri più astratti procedono sempre mediante il metodo degli esperimenti mentali (quelli diventati famosi grazie ad Einstein), cioè tramite la rappresentazione di oggetti tridimensionali, ed esperimenti cognitivi che usiamo abitualmente, anche se inconsciamente, per osservare il mondo reale”.

Per il prossimo anno Corbetta ha programmato a Padova un ciclo di lezioni sulle neuroscienze che saranno tenute da eminenti scienziati, e che si chiuderà con una lezione finale di Giacomo Rizzolatti.

Redazione

La redazione di Scienzaveneto.it