Come nascono le idee? e un centro di ricerca di massimo livello?

Tutti coloro ai quali è capitato di avere un “colpo di genio”, o magari anche una semplice idea abbastanza brillante da risolvere un’impasse quotidiana, lo sanno bene: dopo esserci stati a pensare sopra infruttuosamente per un bel pezzo, appena rilassati, durante una pausa, o un momento di particolare relax (splendido il momento della doccia dopo l’attività sportiva che ha scaricato la tensione), l’idea è arrivata da sola.

Reazione autoreferenziale tipica: – ma che stupido! come ho fatto a non pensarci prima…

Insomma, il nostro cervello può essere più “intelligente” quando è allo sbando, piuttosto che sotto il nostro rigoroso, attento, controllo analitico e metodologico? La risposta è evidentemente affermativa, ma perché?

Nella foto di apertura: Maurizio Corbetta MD with Antonello Baldassarre (postdoc fellow) Looking at brain images in Dr. Corbetta's office - Robert J. Boston Photograph. Nella foto qui sopra: Positron Emission Tomography (PET): Paziente positivo per tracciante per Amiloide (18F-FLorbetaben) corretto per effetto di volume parziale.
Nella foto di apertura: Maurizio Corbetta MD with Antonello Baldassarre (postdoc fellow) Looking at brain images in Dr. Corbetta’s office – Robert J. Boston Photograph. Nella foto qui sopra: Positron Emission Tomography (PET): Paziente positivo per tracciante per Amiloide (18F-FLorbetaben) corretto per effetto di volume parziale.

I motivi sono diversi. Pensare ossessivamente a qualcosa che non ha soluzione (come, per esempio, quando ci si trovi in condizioni in cui non si ha liberta di agire per cause di forza maggiore) è stressante, ciò implica che dopo un certo periodo di tempo le surrenali cominciano a produrre troppo cortisolo, il quale limita le facoltà mnemoniche e altre facoltà cerebrali. Ma, siamo spesso anche inconsapevolmente schiavi delle nostre esperienze operative, e del nostro apprendimento teorico, che ci vincolano a seguire proprio quegli schemi dai quali, in certi casi, è invece necessario uscire per trovare la soluzione. Ma come fa il cervello a trovarla da solo? Una possibile risposta offerta dalla ricerca moderna e’ che il cervello anche nello stato di riposo continua a “ripassare” patterns di attività che sono simili a quelli usati durante il pensiero, e che a riposo si costituiscano nuove connessioni funzionali che potrebbereo essere alla base di nuove e originali idee. L’attivita’ spontanea del cervello a riposo consuma molto. Il cervello seppur pesando solo il 2% della massa corporea consuma quasi un quarto di tutta l’energia del corpo. La grande maggioranza di questa energia, circa il 70-80% e’ spontanea cioe’ intrinseca e indipendente dal comportamento. Pensare, parlare, muoversi, giocare, e interagire socialmente, insomma tutto ciò che facciamo nella vita di tutti giorni, consuma pochissimo solo il 5-10% dell’energia cerebrale. Quindi si puo’ dire che il cervello spende la maggioranza delle sue risorse “a far niente”. La funzione di questa “attività” a riposo è ignota, ma una possibile teoria è che in tal modo emerga un modello del mondo, del corpo, e delle attività cognitive che vengono continuamente confrontate con le nostre esperienze quotidiane.

Morale: l’idea brillante puo’ venire dal dolce far niente, perché è durante il riposo che il cervello esplora pienamente tutte le possibili sfaccettature di un problema.

Lo spiega bene dal punto di vista neurofunzionale il professor Maurizio Corbetta con queste parole: “quando si è pensato in maniera ossessiva a qualcosa, tanto che nel cervello rimane una traccia mnemonica forte di questi pensieri, queste associazioni vengono ripassate durante il sonno attraverso la sincronizzazione di circuiti cerebrali; e’ plausibile che nuove interazioni (l’idea originale) non presenti nello stato di veglia si possano formare automaticamente quando quando “ripassiamo” le attivita’ del giorno nel lavoro onirico”.

Dopo 28 anni di States, Corbetta è arrivato a Padova voluto dai rettori Giuseppe Zaccaria e Rosario Rizzuto a dirigere la Clinica Neurologica dell’Universita’ e dell’Azienda Ospedaliera (si confronti anche il nostro articolo “Un nuovo universo per la neurologia”): “ho accolto l’invito perché questa università ha certamente grandi potenzialità per il suo passato, grande spessore culturale di tanti dipartimenti eccellenti (ingegneria, fisica, chimica, matematica, psicologia, medicina – soprattutto per quanto riguarda genetica e ricerca biomolecolare), mancava invece un po’ la parte “neuroscienze di sistema” cioè il collegamento tra meccanismi molecolari e cellulari e e la psicologia”. Molti dei fenomeni cognitivi o delle malattie neurologiche o psichiatriche non possono essere studiate solo da un punto di vista molecolare o cellulare, ma coinvolgono circuiti cerebrali che devono essere studiati nel cervello intero.

A Padova questo tipo di ricerca è oggi possibile anche grazie alla presenza di un’apparecchiatura elettromedicale (PET-RMN) di ultima generazione, che permette di correlare in real time le immagini derivanti dalla tomografia a emissione di positroni (PET) con quelle della risonanza magnetica funzionale, come dire: si guarda cosa succede al metabolismo cerebrale nel momento in cui si attiva una specifica connettività.

Finora di queste apparecchiature (da quasi nove milioni di euro) ne sono state installate meno di dieci in tutta Europa, la loro eccezionale peculiarità è quella di essere in grado di associare in simultanea neuroanatomia, neurofisiologia, e metabolismo neuronale a vari livelli, ma non basta. “Servono anche altri strumenti, come l’optogenetica, una tecnica che permette di attivare gruppi di cellule nervose in modelli animali, e la magnetoencefalografia per misurare l’attività neuronale nel tempo… e, soprattutto, per l’ateneo padovano, la scommessa è quella di attirare dal panorama internazionale altri scienziati di grande caratura, per formare un gruppo di ricerca, (secondo quanto programmato da settembre 2015), con la costituzione di un Centro di Ateneo dedicato alla ricerca in neuroscienze. Un centro di ricerca di ampio respiro, dedicato allo studio dei networks cerebrali e allo studio delle patologie del cervello e della mente, che integri le attività dipartimentali o interdipartimentali: bisogna ora più che mai internazionalizzare, una delle strategie principali del nuovo rettore” tiene a sottolineare Corbetta. L’Universita’ di Padova nel 2016 ha chiamato 21 nuovi professori dall’estero di cui 10 vincitori dei prestigiosi grants ERC.

Le neuroscienze cliniche stanno oggi esplodendo come una delle ultime frontiere della medicina insieme alla medicina individualizzata e l’oncologia. Vi sono stati gia’ negli ultimi venti anni significativi miglioramenti per esempio nella cura dell’ictus, del Parkinson, e nella diagnosi del morbo di Alzheimer. La sfida però, è quella di applicare alla clinica nuove conoscenze che emergono dallo studio sul cervello e dei suoi circuiti. Molte delle malattie neurologiche, e sicuramente la maggioranza delle malattie psichiatriche sono dovute ad alterazioni dei circuiti cerebrali. Capire meglio queste patologie è fondamentale per affrontare lo tsunami delle malattie neurodegenerative che si abbattera’ sul mondo industrializzato. L’attesa nei prossimi trent’anni è di una persona su quattro dopo gli 80 anni affetta da una malattia neurodegenerativa, ma all’orizzonte si stanno intravvedendo nuovi e più efficaci farmaci… naturalmente anche la Regione Veneto sta guardando con grande interesse alla costruzione del centro di ricerca a caccia di eccellenza al quale sta lavorando Corbetta.

(Primo dei tre articoli che riguardano questa intervista)

Redazione

La redazione di Scienzaveneto.it