Chirurgia rigenerativa e ricerca: le continue scoperte di Gino Rigotti

“Tutto è iniziato nel 2000, con una paziente mastectomizzata, alla quale praticavo innesti di grasso autologo per correggere piccoli difetti dopo la ricostruzione protesica della mammella. Si trattava di una ragazza che a sedici anni era stata colpita da linfoma di Hodgkin: irradiata “a mantellina” mostrava importanti danni da radioterapia nella regione sovraclaveare, per una severa scheletrizzazione della cute, notevolmente assottigliata a causa della scomparsa degli strati sottostanti. – Perché non prova a mettermi un po’ di grasso anche qui? – Tutto sommato non era una brutta idea, e le ho quindi infiltrato il grasso anche in quei punti”… confessa serenamente Rigotti, che abbiamo intervistato presso la sua residenza nel cuore della Valpolicella.

Il chirurgo plastico Gino Rigotti

Così, un po’ per serendipità, si è visto che, a parte il proficuo risultato estetico conseguente al riempimento, sono scomparse le telangectasie, e la giovane paziente ha riferito di non avvertire più né dolore né bruciore nella zona interessata. Da quel momento è nata la collaborazione tra Gino Rigotti e Andrea Sbarbati, per capire meglio che cosa succede nel derma di una persona quando vi si innesti del grasso che le sia stato prelevato da un’altra zona del corpo.

Si è potuto osservare, allora, che nel tessuto adiposo vi era una certa presenza di cellule staminali, circa duemila per centimetro cubo, le quali, verosimilmente, si potevano considerare responsabili della capacità rigenerativa grasso.

Prendendo spunto dal primo caso fortunato, si è quindi deciso di procedere a uno studio clinico supportato da tryal su danno da radioterapia. Era necessario osservare cosa sarebbe successo con i “lendsoma 4”: i casi più gravi, quelli arrivati irreversibilmente all’ulcerazione, in cui era esclusa a priori qualsiasi speranza di guarigione spontanea. La sperimentazione andò benissimo: nel 90% dei casi si ottenne una guarigione completa. Nel 2007 Rigotti è stato il primo a pubblicare uno studio che documentava gli effetti dei processi di rigenerazione che si ottengono con il grasso: nel tessuto aumenta significativamente la vascolarizzazione, la sostanza fondamentale è più imbibita, e altri fenomeni di rimodellamento a carico tessuto connettivo.

“Oggi tutti lo sanno, tutti lo fanno… (molti specialisti utilizzano il grasso in chirurgia estetica e rigenerativa – n.d.r.) ma – rileva Rigotti, padre di questa tecnica – bisogna ancora capire più in dettaglio cosa succede dal punto di vista biochimico, a livello istologico, quando si innesta il grasso sottocute”…

In ogni caso, la ricerca ha portato pochi anni più tardi ad altri importanti risultati, per cui Rigotti (attuale Past President della Società Internazionale di Chirurgia Plastica Rigenerativa), è stato premiato dall’American Society for Aesthetic Plastic Surgery, anche per la scoperta della ricostruzione del seno in seguito a mastectomia senza protesi, cioè utilizzando solo il grasso prelevato attraverso liposuzione. Uno studio che risale al periodo in cui Rigotti dirigeva il reparto di Chirurgia Plastica, Centro Ustioni, e Centro Regionale per la ricostruzione mammaria dell’Ospedale Civile di Borgo Trento di Verona.

La ricostruzione del seno con il grasso, anzichè con le tecniche tradizionali, ha infatti molti vantaggi: la mammella riacquista completamente la sua sensibilità, resta morbida, e una volta ricostruita lo è per sempre, non ha bisogno di modifiche o sostituzioni: il risultato è per tutta la vita (per i dettagli sull’argomento si veda il seguente articolo di questo servizio).

Rigotti nel giardino della sua residenza in Valpolicella
Rigotti nel giardino della sua residenza in Valpolicella

Ma, ovviamente, la ricerca non si ferma, e bisogna capire cosa sia meglio infiltrare e perché… “così, prosegue Rigotti, col gruppo brasiliano con il quale collaboro, abbiamo fatto una prova su venti pazienti candidate al face lift, ottenendo un riscontro clinico preciso tra prima e dopo: come base line abbiamo prelevato un piccolo lembo di pelle in zona pretragica (ovvero da quell’area anatomica prospiciente l’orecchio, da cui la pelle viene comunque rimossa per completare l’operazione, e quindi ottenendo senza problemi l’autorizzazione dal comitato etico) poi, in alcune pazienti abbiamo iniettato grasso, in altre grasso arricchito di staminali, in altre ancora misto a plasma ricco piastrine (prp); oppure cellule staminali espanse in laboratorio e subito iniettate, o, in altri casi ancora, abbiamo innestato cellule staminali espanse e criopreservate. Con nostra grande sorpresa abbiamo visto che iniettando solamente grasso, piuttosto che milioni di cellule staminali, si ottengono risultati identici: scompaiono dal tessuto le fibre elastiche vecchie, compaiono fibre elastiche giovani, e aumenta la vascolarizzazione… si tratta di uno studio clinico dimostrato con evidence base 4”. Per cui altro premio anche quest’anno: ” Best International Paper Award” consegnato nel Settembre 2016 da Plastic and Reconstructive Surgery, Journal of the American Society of Plastic Surgeons.

Ora resta da scoprire perché scompaiano le vecchie fibre di elastina, come se “venissero mangiate”, mentre le nuove fibre elastiche si vanno a collocare proprio in quel settore che può essere definito la “zona della gioventù”, ovvero vicino all’epidermide, anche in pazienti non più giovani. Infatti col passare del tempo, le fibre elastiche degradano, impoverendosi il tessuto connettivo si insinuano tra esse interstizi vuoti, e migrano sempre più in profondità.

“Anche questa è un’evidenza la cui interpretazione è inequivocabile – rileva Rigotti – in quanto una particolare reazione consente agevolmente di distinguere le fibre elastiche vecchie dalle nuove, le quali vengono definite oxytalàn, cioè resistenti agli acidi. Infatti le fibre elastiche vecchie vengono facilmente evidenziate mediante una metodologia di colorazione al solfato permanganato, previa acidificazione. Le oxytalàn non si fanno quindi colorare”…

Dal momento che iniettando grasso nel derma di un’anziana, la pelle migliora, diventa meno vecchia, ma non certo giovane, Rigotti e collaboratori stanno quindi lavorando a nuovo progetto che potrebbe introdurre un’opportunità rivoluzionaria per la chirurgia estetica: quella di ritardare il processo d’invecchiamento del derma.

Per chi desideri migliorare l’estetica del proprio volto, per ora un’altra cosa è certa: meglio non farsi attrarre da “punturine alla moda” come quelle che iniettano direttamente acido ialuronico, sostanza che rende maggiormente turgida la zona dove viene perfusa, provocando infiammazione dei tessuti…

Per contro, alcuni chirurghi ortopedici utilizzano già il grasso autologo considerandolo utile anche per patologie in cui sia consigliabile incrementare la concentrazione di acido ialuronico. Basti pensare infatti che all’interno capsula articolare del ginocchio vi è un piccolo deposito sferoidale di grasso, chiamato corpo di Hoffa, il cui scopo è verosimilmente quello di produrre l’acido ialuronico necessario a lubrificare l’articolazione.

Redazione

La redazione di Scienzaveneto.it